Carissimi,
finalmente anche i giornali nazionali, dopo aver dormito per trentun anni, si svegliano dal loro letargo e scrivono la verità, per altro arcinota, su Ustica. Vi riporto sotto un asettico ma sostanzialmente corretto articolo del Corriere della Sera, al quale vanno aggiunte alcune ulteriori informazioni:
- l’aereo che volava prossimo al DC9 civile era quello personale di Gheddafi, che si stava recando in Europa dell’Est (se non ricordo male in Ungheria) e, come al solito, stava usando i cieli italiani, dove il nostro governo gli consentiva segretamente di volare, spesso mischiando la sua scia radar a quella di un altro aereo (il DC9 in questo caso);
- nella stessa notte è precipitato un MiG libico in Calabria, probabilmente abbattuto durante la battaglia aerea.
Vi domanderete perché i francesi volessero morto Gheddafi: il motivo era la contemporanea guerra di Aouzou tra Ciad e Libia. Il Ciad, ex colonia francese ma di fatto ancora sotto il loro controllo, doveva sconfiggere militarmente la Libia, in modo da provocare la caduta del suo governo, che doveva essere prontamente sostituito da qualche burattino di Parigi. Purtroppo per i francesi non andò così: in effetti i libici, pur ampiamente armati dall’Italia, persero miseramente, ma Gheddafi non fu cacciato dal governo.
In questi giorni, con la pseudo-rivolta cirenaica, iniziata, foraggiata e pianificata da Francia e Gran Bretagna, forse i “cugini” transalpini riusciranno nel loro scopo e, se ce la faranno, sarà solo perché Berlusconi non è riuscito a proteggere Gheddafi (anzi, dopo l’ignobile baciamano, lo bombarda pure!!!) come invece ci riuscirono politici apparentemente di mezza tacca come Andreotti, Fanfani, Craxi, ecc. Per la serie: si stava meglio quando si stava peggio.
Ovviamente, dopo il golpe del giovanissimo col. Gheddafi nel 1969, anche gli inglesi (che vennero cacciati dalle loro basi in Cirenaica a calci lasciando là quasi tutto il materiale pesante e, soprattutto, le loro concessioni petrolifere) per un decennio abbondante hanno tentato di sabotare l’amicizia italo-libica, ma con mezzi molto più subdoli di quelli francesi. Ma questa è un’altra e sanguinosa storia...
A presto,
Corriere della Sera
La strage DI 31 anni fa
Ustica e quei quattro aerei nascosti
Gli indizi portano ai francesi, 31 anni dopo
La strage di 31 anni fa
Ustica e quei quattro aerei nascosti
Gli indizi portano ai francesi, 31 anni dopo
di Andrea Purgatori
I relitti del Dc9 Itavia esploso la sera del 27 giugno 1980
La vera «bomba» della strage di Ustica sono le tracce radar di quattro aerei militari ancora formalmente «sconosciuti» - due/tre caccia e un Awacs - su cui la Nato, dopo una rogatoria avanzata un anno fa dalla Procura della Repubblica di Roma (con il sostegno operativo ma silenzioso dell'ufficio del consigliere giuridico del capo dello Stato), sta decidendo in questi giorni se apporre le bandierine d'identificazione. Tutti gli indizi portano allo stormo dell'Armée de l'air che nel 1980 operava dalla base corsa di Solenzara. Lo stesso contro cui puntò il dito pubblicamente (poi anche a verbale) Francesco Cossiga. Forse dopo aver saputo che i caccia francesi avevano lasciato le loro impronte su un tabulato del centro radar di Poggio Ballone (Grosseto), miracolosamente non risucchiato dal buco nero che dalla sera dell'esplosione del DC9 Itavia aveva ingoiato nastri, registri e persino la memoria di tanti testimoni.
La questione non è più militare ma sostanzialmente politica. E non solo perché la risposta ai magistrati italiani deve prima ottenere il benestare dei 28 paesi membri dell'Alleanza, nessuno escluso. Il fatto è che, come in un surreale gioco dell'oca, dopo trentun anni gli attori tirati in ballo nella strage (Italia, Francia, Stati Uniti) si ritrovano insieme alla casella di partenza. Alleati in una guerra (stavolta dichiarata) a Gheddafi, vittima designata oggi come allora, e al solito con posizioni tutt'altro che sovrapponibili. In più l'identificazione certa dei caccia francesi non sarebbe cosa facile da digerire nei rapporti bilaterali, visto che Parigi ha sempre negato che il 27 giugno 1980 i suoi aerei fossero in volo nel cielo di Ustica e, persino contro l'evidenza delle prove raccolte dalla magistratura italiana, ha sostenuto che nella base di Solenzara le luci furono spente alle cinque e mezza del pomeriggio. Il 2 ottobre del 1997, il segretario generale della Nato Javier Solana graziò Parigi consegnando al nostro governo la relazione di sei pagine di un team di specialisti dell'Alleanza atlantica che aveva incrociato tutte le tracce radar sopravvissute al buco nero, identificando in una tabella dodici caccia in volo quella sera (americani e britannici) ma evitando di apporre la bandierina su una portaerei e quattro aerei la cui presenza nella zona e all'ora della strage non veniva comunque messa in discussione. Un lavoro ripetuto più e più volte con i sistemi informatici in dotazione alla Difesa aerea dell'Alleanza e definito dagli stessi specialisti Nato senza alcuna possibilità di errore. Però reticente su un unico punto, cruciale: l'identificazione dei caccia francesi.
Ma il radar di Poggio Ballone (Grosseto), all'epoca uno tra i più efficienti, aveva visto che tre di quegli aerei provenivano da Solenzara e a Solenzara erano rientrati dopo l'esplosione del DC9 Itavia. E il quarto - un aereo radar Awacs - era rimasto in volo sopra l'isola d'Elba registrando tutto ciò che era accaduto nel raggio di centinaia di chilometri, quindi anche a Ustica. Sarà un caso che il registro della sala radar con cui si sarebbero potuti incrociare i dati del tabulato non fu trovato durante il sequestro ordinato dal giudice istruttore Rosario Priore e che l'Aeronautica lo consegnò cinque giorni dopo senza il foglio di servizio del 27 giugno 1980? Sarà un caso che Mario Dettori, uno dei controllori, dichiarò a moglie e cognata che si era arrivati «a un passo dalla guerra» e poi fu trovato impiccato a un albero? Sarà un caso che il capitano Maurizio Gari, responsabile del turno in sala radar e perfettamente in salute, sia morto stroncato da un infarto a soli 32 anni? Sarà un caso che i capitani Nutarelli e Naldini, morti anche loro nella disastrosa esibizione delle Frecce tricolori nel 1988 a Ramstein, con il loro TF 104 abbiano incrociato quella sera tra Siena e Firenze il DC9 sotto cui si nascondeva un aereo militare sconosciuto e siano rientrati alla base di Grosseto segnalando per tre volte e in due modi diversi l'allarme massimo come da manuale (codice 73)?
C'è grande fibrillazione intorno a questa perizia della Nato su cui molti hanno cercato inutilmente di mettere le mani, in alcuni casi negandone addirittura l'esistenza. Ma il documento, un macigno sulle parole di chi ha sostenuto che il DC9 sia esploso per una bomba in un cielo deserto, ora è tornato a galla e ha consentito ai magistrati della Procura di Roma di preparare la partita finale di quest'indagine. Cinque rogatorie che potrebbero finalmente rendere giustizia alle 81 vittime di quella strage e di un segreto ancora inconfessabile.
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